Un habitat di fogli sparsi a terra

1 Aprile 2021

Credo nelle consulenze che regalano più domande che risposte e più “dipende” che verità assolute. E questo perché ho accettato che la mia testa funziona meglio se spargo fogli sul pavimento.

Vorrei ma non posso

Ci provo, a preparare con largo anticipo i miei contenuti — lo giuro — ma raramente riesco a rispettare quei programmi. Che di solito si svolgono così: scrivo le mie idee su un foglio che si mischia agli altri duemilionisettecentomila presenti sulla mia scrivania finché al momento di scrivere mi ricordo di lui e lo ripesco, dopo una ricerca medio-lunga, per rivalutare quello che ci avevo scritto.

Normalmente, di quattro-cinque idee ne salvo una; due, in casi eccezionali. Quasi sempre, quello che poi finisce online è una cosa un po’ diversa, un risultato a cui sono arrivata man mano che il testo prendeva forma.

Questo perché al momento di svilupparle o di pubblicarle, guardo quelle idee e quelle bozze con occhi diversi e le vedo lontane da come sto in quel momento. Oppure vengono prese a spallate da un’altra cosa che vorrei proprio dire in quel momento.

Ho provato a cambiare ma…

Insomma, faccio un po’ a botte con i contenuti decisi con largo anticipo e per questo mi sono sempre giudicata. Ho provato a cambiare questo mio modo di funzionare ma tutto quello che ho ottenuto è stato farmi la guerra e accumulare frustrazione a tonnellate perché non riuscivo a raddrizzare quella che vivevo come una mancanza.

Ho tentato anche di dedicare dei quaderni diversi ai vari contenuti, per poter organizzare le idee già in partenza, ma nemmeno questo ha funzionato: spesso prendo appunti sulla prima cosa che ho a tiro (buste, fogli di giornale, scontrini, foglietti volanti) e per quanto mi riprometta di trascrivere tutto, non c’è speranza. Non lo faccio mai.

Quando posso scegliere dove scrivere, finisco sempre per farlo sui fogli della stampante: sono bianchi quindi non sono vincolata da righe e quadretti e posso raggrupparli come voglio e disporli tutti in gruppo quando mi serve una vista d’insieme. Li amo.

Fogli sparsi e corto raggio

Per questo, ho scartato anche l’opzione Remarkable. Almeno finché non ne creeranno uno enorme e calpestatile, da usare anche come pavimento: la mia testa si muove bene solo tra la carta che posso spostare fisicamente, perciò al momento di analizzare o riprendere quello che ho scritto, so già che mi metterei a stampare tutto e lo spargerei per terra. (Il pianeta non ne sarebbe contento ma non potrei farne a meno.)

Insomma, il mio habitat è una pila di fogli sparsi e la mia programmazione dei contenuti è sempre a corto raggio. Ogni tentativo di cambiare non è servito a niente. Quello che invece ha cambiato la prospettiva è stato prendere coscienza che, in questa e in molte altre cose, funziono così. In un modo un po’ incasinato, forse, ma che è quello che ho.

E quando riesco a lasciare da parte i sensi di colpa e i “dovrei” per pensare a come incanalare e rendere più fluide queste modalità, di solito succedono cose belle.

La credibilità che conta per me

Perché ti ho fatto questa lunga premessa? Perché da questa consapevolezza ne è derivata un’altra: il tipo di credibilità professionale che voglio costruire non si può basare sul dirti come devi fare. Piuttosto nel darti gli strumenti per dire chi sei, in modo discreto e restando dietro le quinte.

Se mi chiedi una consulenza, non voglio passarti l’informazione statica di come devono essere le tue foto, quale correzione colore applicare e quale macchina fotografica comprare, anche se è quello che ci si aspetterebbe da un fotografo.

Non voglio farlo perché, per me, vorrebbe dire ignorare che ognuno, me compresa, funziona in modo di diverso, ha una storia diversa e ha esigenze diverse e questa unicità è importante, è alla base di ogni piccolo brand.

Credo che non ci sia un modo giusto per tutti, una post-produzione universale, una regola che vale sempre, una macchina fotografica migliore di altre (certo, in senso assoluto quella macchina esiste ma non è detto che sia la fotocamera migliore per te e per il tipo di foto che devi fare).

Disconosco le palette ad ogni costo e in ogni dove, credo invece che ogni cosa deve essere commisurata al senso, al significato, alla destinazione, al messaggio, ai valori che porta dentro.

Guardarsi dentro

Sono consapevole che è più facile e più rapido per entrambe le parti dire “si fa così” ma in cuor mio so che in fotografia c’è poco di universale. Posso dirti, questo sì, come fare per arrivare a un determinato risultato tecnico ed aiutarti a capire il messaggio che desideri inserirvi ma la base si trova dove affondano le tue radici.

Quando leggo di etichette, giudizi, repost di messaggi scambiati in privato in cui si ostentano anni di esperienza, tanto seguito o verità incontestabili, avverto una grande voglia di allontanarmi, perché nella mia visione la strada migliore non è fare le foto che ti dicono e come ti dicono ma guardarti dentro e chiederti se quel metodo fa davvero per te.

Provalo, mettilo in discussione e, se funziona, usalo ma non prenderlo mai come uno schema da cui non puoi uscire. Certo, partire da te richiede più lavoro e può capitare che faccia passare per la stazione della frustrazione e dal timore di non arrivare mai. Ma una fotografia che nasce dall’interno è la più nostra che ci sia, ci permette di dire chi siamo e di cambiare linguaggio restando fedeli ai nostri significati più profondi.

Essere costruttiva

É una fotografia che passa dallo sperimentare, dal cominciare facendo delle vere schifezze, portandoci, però – un tentativo dopo l’altro – nel profondo di quello che vogliamo esprimere.

Con questo, non voglio dire che i giudizi degli esperti e i loro consigli non siano validi ma che — e parlo in generale, non solo riguardo la fotografia —, personalmente, voglio allenarmi ad essere costruttiva.

Ognuno di noi, tanto nella professione quanto nella vita privata, ha il potere di aiutare a rendere grande o di far sentire piccola un’idea. Che non significa che non esistono le pessime idee ma che non si sa mai in cosa possono evolversi e a quali risposte possano portarci se ci concediamo di prenderle sul serio. Le nostre e quelle degli altri.

 

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Leda Mattavelli

Leda Mattavelli

Mi chiamo Leda. Amo, ricambiata, la fotografia. È una frase che ripeto spesso perché credo che quando scegliamo di nutrire le attitudini che ci appartengono, queste ci ripagano mostrandoci la strada per quel luogo nell’anima dove ci sentiamo veramente a casa. Scopri di piu…

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