Cara foto, non ti guardo e non ti credo. (O forse dovrei?)

29 Aprile 2022

Etica e fotografia, foto false e immagini cruente sui social. Se anche tu ti senti dire spesso che ormai non si sa più a cosa credere e che nessun confine è invalicabile pur di avere pubblico, in queste righe provo a spiegarti perché farsi un’opinione valida non solo è possibile ma è anche una presa di responsabilità.

Partiamo dal presente: il conflitto in Ucraina

Dopo venti giorni trascorsi nell’assedio di Mariupol, sono stati evacuati dall’esercito ucraino gli unici due giornalisti internazionali – fotogiornalisti, per la precisione – rimasti in città: Mstyslav Chernov ed Evgeniy Maloletka. Una settimana dopo, una loro collega di Associated Press ha raccolto in un articolo la testimonianza di Chernov.

Chernov inizia il suo racconto dal momento della loro evacuazione: un gruppo di soldati ucraini li va a cercare nell’ospedale pediatrico di Mariupol, dove lui e Maloletka stavano documentando le conseguenze dei bombardamenti sulla città e sullo stesso ospedale. Il motivo per cui le forze armate ucraine desiderano metterli in salvo, gli viene spiegato da un ufficiale, è che se i russi li catturano, li costringeranno a dichiarare davanti alle telecamere che tutte le immagini che hanno diffuso erano dei falsi.

Quello stesso ufficiale, aggiunge Chernov, giorni prima li aveva implorati di mostrare al mondo cosa stava accadendo a Mariupol. Così come i medici dell’ospedale e le famiglie delle vittime, che li pregavano di non smettere di riprendere. Il 15 marzo, con l’esercito russo che avanza, gli viene chiesto di andarsene per proteggere la validità della loro testimonianza. Non occorre aggiungere altro, è implicito il riferimento alla sempre maggiore diffusione di notizie inventate o manipolate e alla crisi della credibilità dell’informazione.

Lo stesso giorno, entro in Instagram e incrocio alcuni post e storie in cui chi scrive si lamenta di vedere pubblicate e trasmesse ovunque immagini cruente e violente relative alla guerra.

C’è un filo che collega la testimonianza di Chernov e le lamentele sui social ed è un filo che ha a che fare con la sovraesposizione a immagini e informazioni senza che ci siano un’etica professionale a fare da filtro e un contesto di riferimento a guidarci.

Passiamo dal passato: censura e notizie false esistono da sempre

La censura da una parte e la creazione di contenuti falsi dall’altra, dico una cosa scontata, non sono certo un’invenzione di questo momento storico. Grazie al digitale è sicuramente più semplice metterle in atto, tuttavia il controllo delle informazioni e la loro alterazione da parte di una qualche forma di potere sono nate insieme alla scrittura, prima, e alla fotografia, poi.

Nel suo saggio “Etica e fotografia”, Ferdinando Scianna, scrive che: “[…] è sempre etico cercare di raccontare con le immagini come con le parole la realtà dei fatti che avvengono nel mondo in maniera indipendente da quelli che sono i desideri e soprattutto le censure del potere”.

E aggiunge che anche le convinzioni ideologiche della singola persona possono essere una forma di potere e dunque, per il bene dell’interesse collettivo, i differenti punti di vista dovrebbero avere tutti pari valore, così che i destinatari dell’informazione possano scegliere liberamente. Scianna scrive queste parole nel 2010; dodici anni dopo, gli algoritmi, l’invasione russa dell’Ucraina, la pandemia e l’attacco al Campidoglio, fra gli altri, ci obbligano a interrogarci su cosa significhi davvero quel “liberamente”.

L’esperienza di un grande del fotogiornalismo: Nachtwey

James Nachtwey è un fotogiornalista e fotografo di guerra fra i migliori al mondo (è molto probabile che tu abbia visto, tra gli altri, i suoi scatti dell’11 settembre). In un suo discorso del 2007 afferma che crescere negli Stati Uniti negli anni ’60, segnati dalla guerra in Vietnam e dai fatti che diedero vita al Movimento per i Diritti Civili, “rese concreto il concetto che la libera circolazione delle informazioni è assolutamente vitale per il giusto funzionamento di una società libera e dinamica. La stampa è un business, e per sopravvivere deve essere un business di successo, quindi bisogna trovare il giusto equilibrio tra esigenze di marketing e responsabilità giornalistica”.

Credo che queste parole di Nachtwey traccino i margini di quella libertà di scelta delle informazioni di cui parlavamo. Possiamo chiamarla etica o responsabilità ma la sostanza è che la diffusione di notizie, scritte o visive, comporta delle conseguenze che la maggior parte dei media ha deciso di ignorare, usando come alibi la necessità di adattarsi finanziariamente all’era del digitale e dell’immediatezza. Spesso senza nemmeno tentare di conciliare l’esigenza economica con l’attendibilità.

Né etica, né contesto

Non che fino all’altro giorno l’informazione fosse tutta indipendente e obiettiva ma è innegabile che mai come oggi l’etica sia passata in secondo piano, anche nei paesi con governi democratici.

Le scelte editoriali dettate dal bisogno di clic e dalla velocità di pubblicazione hanno un’altra enorme conseguenza per le fotografie: penalizzano il contesto. E il contesto è indispensabile per comprendere fino in fondo e per costruirsi un’opinione fondata a proposito di qualsiasi avvenimento. Ci sono un prima, un dopo, un dove, un chi, un perché che spesso portano ad altri prima, dove, eccetera.

Non solo: vedere un’immagine di guerra particolarmente cruenta mentre si scorre il feed di un social, non solo priva quella fotografia del suo contesto ma la pone in un altro, agli antipodi con quello di origine. Impedendo a chi guarda di avere il quadro completo.

Cosa si può fare

Essere consapevoli di tutto questo aiuta ma si può fare di più: non siamo indifesi davanti al flusso continuo di foto e di news.

Si può cominciare limitando le occasioni in cui le notizie e le immagini giornalistiche arrivano per caso, provando a dedicare dei momenti precisi alla nostra ricerca di informazione e alla visione di fotografie. Aiutandoci con le notizie scritte per ricostruire il contesto in cui inserire gli scatti che vediamo.

Sfogliando un fotoreportage, cartaceo o sul web, ieri come oggi, a un certo punto si incappa, in qualche pubblicità che sbalza l’immaginario da un racconto di sofferenza umana a una foto di abbigliamento costoso o di auto di lusso. É il compromesso di cui parlava Nachtwey (e a cui fa riferimento anche Scianna nel suo libro). Ma la decisione di dedicarci volontariamente a quella notizia e l’esservi immersi crea una profonda differenza nella fruizione rispetto al veder comparire all’improvviso un’immagine di guerra mentre guardiamo foto di gatti su Facebook.

E se una notizia appare nel feed all’improvviso, anche se si ha già smesso di seguire testate e siti di news? Si può resistere all’impulso di leggerla o di cliccare, passando oltre. Viceversa, più ci dimostriamo interessati, più ci verranno proposti contenuti simili.

Altro nodo importante è capire se il giornale che pubblica le foto che stiamo guardando è affidabile o meno. Per scioglierlo, non occorre essere degli esperti: basta essere dei lettori allenati. Aiuta, per esempio, comparare giornali diversi, capire quale corrente politica appoggiano, fare attenzione all’aderenza fra titolo e contenuto, valutare la chiarezza delle didascalie, verificare se vengono pubblicate smentite in caso di errore, individuare eventuali incoerenze fra un articolo e l’altro o fra un’edizione e l’altra.

Un piccolo approfondimento sull’autenticità delle fotografie

Le foto analogiche sono sempre vere?
Si può capire se una foto è falsa senza essere un super tecnico/ingegnere/genio/perito del tribunale?

Le risposte sono, rispettivamente: no e in molti casi, sì.

L’alterazione del contenuto di una fotografia era possibile già sui primi esemplari e si poteva realizzare principalmente in tre modi.

  • Direttamente in fase di scatto, con esposizioni multiple o creando una messa in scena.
  • Intervenendo sul negativo o su una copia di quest’ultimo.
  • Intervenendo in fase di stampa, con tecniche di sovrapposizione, o sulla stampa finita, dipingendovi sopra.

Con la tecnologia digitale e programmi come Photoshop, modificare il contenuto di un’immagine è alla portata di chiunque. Tuttavia, esistono dei modi per scovare i falsi. Ci sono ovviamente le perizie degli esperti e l’analisi del negativo digitale, quando disponibile. (Alcuni fotogiornalisti, per vari motivi, scattano in jpg; significa che la macchina scatta il negativo e lo processa per creare un file in formato jpg che viene salvato, mentre il negativo finisce per essere eliminato.)

Oppure, per noi persone comuni, si possono fare ricerche incrociate sulla foto e ricostruire il contesto in cui è stata scattata, possibilmente consultando fonti d’informazione affidabili. Oppure facendo una ricerca fra le più semplici: cercare la foto su Google con l’apposito strumento che rintraccia nel web foto simili.

E perché farlo

Anche se l’importanza di queste riflessioni è più evidente per il fotogiornalismo, il discorso vale per qualsiasi tipo di fotografia. Mi spiego meglio: Scianna nel suo libro ripete che “la fotografia mostra, non dimostra”: vero, ma essere consapevoli del contorno, dei legami, della provenienza di quello che vediamo ed essere a conoscenza del processo di creazione di un’immagine, ci permette di fare una scelta non perfetta ma certamente più libera. E di formare un’opinione dalle basi più solide, anche quando vediamo un ritratto pesantemente ritoccato. Che non è il male assoluto: è solo un’alterazione della verità che sarebbe bene allenarsi a riconoscere.

L’etica e la responsabilità, se vogliamo, possiamo mettercele noi. Certo, farlo richiede volontà e tempo a giornate che già sembrano non bastare mai, ma ciò che leggiamo e vediamo, anche di sfuggita, viene assorbito dal cervello come il cibo dal corpo. E penso che tutti preferiamo sapere e scegliere cosa mangiamo.

Infine, c’è un altro motivo per cui vale la pena preoccuparci di sviluppare un pensiero critico su questi temi: non rendere vani e, anzi, onorare gli sforzi di tutti i Nachtwey, Chernov e Maloletka là fuori che rischiano tutto pur di far sapere al mondo e pur di non farlo voltare dall’altra parte.

“I have been a witness, and these pictures are
my testimony. The events I have recorded should
not be forgotten and must not be repeated.”
James Nachtwey

Approfondimenti sul lavoro di James Nachtwey

– Il discorso di Nachtwey per il TED Prize ricevuto nel 2007

– Le parole di Wim Wenders per la premiazione di Nachtwey al Premio per la Pace di Dresda (2012)

– Il trailer del documentario sul lavoro in prima linea di Nachtwey, War Photographer (2001), candidato all’Oscar

Alcune pubblicazioni di Nachtwey

 

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Leda Mattavelli

Leda Mattavelli

Mi chiamo Leda. Amo, ricambiata, la fotografia. È una frase che ripeto spesso perché credo che quando scegliamo di nutrire le attitudini che ci appartengono, queste ci ripagano mostrandoci la strada per quel luogo nell’anima dove ci sentiamo veramente a casa. Scopri di piu…

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